Nel pomeriggio abbiamo concluso il nostro intenso e
intricato percorso cercando di integrare i diversi linguaggi e di condividerli
su una piattaforma comune. Prima di tutto ci siamo divertiti a comunicare
attraverso la rete, questa volta fatta di tubi da elettricista e imbuti…una
metafora di internet utile per comprendere come internet sia davvero un
ambiente dove molte persone comunicano e si scambiano informazioni
contemporaneamente.
You Tube è il social media dei video per eccellenza, dunque
ci siamo sbizzarriti nella produzione di video digitali divertenti e con
effetti speciali grazie ai nostri potenti mezzi (tablet e smartphone), per
rappresentare l’Era digitale con un linguaggio molto usato oggi più che mai.
I risultati del nostro lavoro sono visibili online…cerca il
canale del Cem Mondialità su You Tube e sul sito cem.saverianibrescia.it, oppure vai
sul blog del nostro laboratorio internetcultur.blogspot.it/.
Sicuramente il momento più importante dell’ultima mattinata
di laboratorio è stato l’incontro tra il nostro laboratorio e il laboratorio
degli adolescenti. Dopo i primi timidi approcci si è rivelato un momento di
confronto molto denso e profondo. I ragazzi si sono confrontati ognuno con un
adulto per trovare tre cose in comune e rappresentare il loro incontro con un hashtag
(#) e un’emoticon (J).
Poi abbiamo messo insieme alcune domande molto profonde e personali scritte su
foglietti di diverso colore: bianchi per gli adulti e verdi per i ragazzi.
Ognuno doveva pescare il foglietto del colore diverso da quello su cui aveva
scritto la domanda e rispondere in modo anonimo, rimettere il foglio piegato
nella scatola e pescare di nuovo. Alla fine abbiamo letto tutte le domande e
tutte le risposte ad alta voce, scoprendo perle di saggezza, frasi divertenti,
riflessioni sul senso della vita, consigli preziosi. Ciò che ha fatto più
scalpore sono state le domande e le risposte dei giovani che agli occhi degli
adulti sono risultati molto più profondi e riflessivi di quanto pensassero
prima dell’attività.
Nell’ultima giornata abbiamo voluto tirare le somme per
riordinare le carte in tavola e riflettere in modo più approfondito sul ruolo
educativo degli adulti nei confronti dei giovani in questo momento dell’era
digitale.
Siamo partiti dai nativi digitali e dai loro diritti (http://www.youtube.com/watch?v=YWg-d8WPXk0)
per riflettere sull’importanza di offrire ai bambini e a i ragazzi di oggi
esperienze diversificate che tengano conto delle “vecchie tecnologie” quanto
del digitale. Il nostro ruolo in quanto trentenni e quarantenni è particolare perché
siamo l’unica generazione che ha la possibilità di vivere nell’era digitale, ma
che si ricorda della vita prima di internet perché l’ha vissuta. Con questa
peculiarità abbiamo la grande responsabilità di mediare in modo consapevole e
lungimirante i nuovi contenuti del sapere e i canali attraverso cui questi
contenuti viaggiano.
Per educare i giovani alla responsabilità è necessario
educarli a pensare, e allora abbiamo inventato un dispositivo per pensare in
modo analogico-digitale. Siamo partititi dalla metafora dei “Sei cappelli per
pensare” di De Bono (1985), che immagina di visualizzare le sei dimensioni principali
del nostro pensiero come sei cappelli che, indossati uno alla volta, ci
permettono di guardare ad un dilemma, ad una questione complessa, sotto vari
aspetti e punti di vista per giudicarla in modo corretto e il più possibile
ragionato. Nell’era digitale i sei cappelli sono diventati sei APP, ognuna
“lanciava” un pensiero e grazie al supporto dei nostri tablet di cartone siamo
riusciti a riflettere insieme, a 360° spaziando dal pensiero analitico a quello
emotivo, dal pensiero creativo a quello critico per arrivare poi al pensiero
metacognitivo.
Le tecnologie digitali sono sempre più avanzate e
“intelligenti”, certo, ma quanto pesano nelle nostre relazioni? Il regista
Spike Jonze nel suo ultimo film “Lei” con J.Phoenix e S. Johansonn immagina un
futuro molto vicino in cui la tecnologia è in uno stato così avanzato da
produrre un sistema operativo interamente basato su un’intelligenza
artificiale; un OS (Operative Sistem) in grado di imparare dall’esperienza, di
provare emozioni. Questo sconfinamento della tecnologia in un ambito che fino a
quel momento era solo prerogativa degli umani genera situazioni che a noi
appaiono paradossali, ma nel film sono descritte in modo molto vivido e allo
stesso tempo discreto: in poche parole il protagonista ha una storia d’amore
con il suo OS, e attraverso la telecamera dello smartphone e l’auricolare di ultima generazione che ha sempre
nell’orecchio, vive esperienze intense ed emozionanti con “Lei”. La visione di
alcune clip di questo film ha suscitato un bel confronto sulla natura delle
relazioni umane in contesti iper-tecnologizzati e mediati dal digitale: ci
siamo fatti soprattutto molte domande sull’intimità delle relazioni virtuali e
su quanto la vita online sia talvolta parallela, ma più spesso intrecciata a
quella offline.
Sicuramente quando in rete si condividono parti di sé molto
personali, si diventa molto vulnerabili e talvolta questo materiale “sensibile”
può essere usato in modo scorretto. I pericoli della rete sono sotto gli occhi
di tutti nei numerosi episodi di cronaca che vedono coinvolti, soprattutto
adolescenti, in situazioni estremamente rischiose e delicate sotto il profilo
emotivo.
E’ soprattutto il cyberbullismo a colpire per la ferocia e
la violenza di atti compiuti da ragazzi spesso ignari e inconsapevoli delle
conseguenze delle loro azioni. Abbiamo potuto riflettere su quanto siano
potenti le violenze psicologiche se amplificate dalla diffusione scorretta, immediata
e capillare di materiale intimo sui social network, grazie agli spunti offerti
dalla storia di sexting e cyberbullismo che viene raccontata in “Disconnect” il
film di Alex Rubin uscito in Italia a gennaio 2014 che racconta storie di
persone la cui vita offline viene sconvolta da quella online.
È sicuramente un film molto crudo e violento, a livello
psicologico ed emotivo, ma ci ha permesso di far luce su questo fenomeno che
sta dilagando nelle scuole secondarie e che spesso ci troviamo impreparati ad
affrontare. Dati alla mano, secondo una ricerca di Save the children, il 72%
degli adolescenti vede il cyberbullismo come il fenomeno più pericoloso del
nostro tempo, più di ogni altro pericolo, incluse droga, malattie o molestie da
parte di sconosciuti. Con quale arma possiamo combattere questa “battaglia
educativa”? La risposta che è emersa dal confronto in gruppo è stata:
l’empatia. Solo l’attitudine a mettersi nei panni dell’altro, e immaginare il
suo punto di vista, il suo vissuto interiore può fermarci dal commettere atti
di violenza nei suoi confronti laddove non ci sono codici di comportamento
consolidati da una lunga tradizione morale. Sul tema dell’empatia abbiamo
visionato alcuni video che davano spunti interessanti (cfr “la civiltà
empatica” https://www.youtube.com/watch?v=ycO5rG1DM8U
tratto dal libro di J.